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IL RUOLO DELLE REGIONI NELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE DEL SISTEMA PRODUTTIVO ITALIANO

Avv. Danilo Desiderio, Salerno – collabora con ICE e Centro Studi & Ricerche SCiNT

Fra i fenomeni che hanno caratterizzato, negli ultimi tempi, l’evoluzione del sistema pubblico di sostegno all’internazionalizzazione delle imprese, si registra quello della sempre maggiore crescita del ruolo delle autonomie locali e delle Regioni. A questi ultimi enti, ai quali erano state trasferite, nell’ambito del decentramento amministrativo avviato dalla cd. “legge Bassanini” (l. 57/97), le sole funzioni di promozione e di supporto allo sviluppo dei rispettivi sistemi economico-produttivi, era stata inizialmente sottratta materia del commercio estero, riservata allo Stato (art. 1, co. 3 , lett. a, l. 59/97). Il radicamento nella competenza del Governo centrale di tutte le attività che riguardavano il supporto alle operazioni di commercio estero, trovava una sola eccezione nelle azioni di sostegno dei sistemi produttivi locali. Limitatamente a questo settore, infatti, il d.lgs. 112/1998, uno dei provvedimenti attuativi della legge Bassanini, attribuiva alle Regioni la funzione di sostegno dei comparti economico-produttivi di “scala locale”, relativamente alla concessione di agevolazioni, contributi, sovvenzioni, e quant’altro potesse contribuire allo sviluppo della commercializzazione e dell’internazionalizzazione degli stessi. Il decreto in questione attribuiva inoltre alle Regioni la competenza a gestire gli incentivi relativi ai consorzi export di carattere “monoregionale”, in specie quelli operanti nei settori agroalimentare ed alberghiero-turistico, mentre al Ministero Attività Produttive rimaneva la gestione di tutti i contribuiti relativi ai consorzi multiregionali (l.83/1989, d.m. 25 marzo 1992, l.394/1981).
Questo sistema è stato completamente stravolto nel 2001 quando, dopo oltre mezzo secolo dalla sua entrata in vigore, la Costituzione italiana ha subito un profondo processo di revisione, che ha riguardato l’intero titolo V della sua Parte II (cd. “Istituzionale”, in quanto regola l’ordinamento dello Stato e degli altri enti territoriali). La legge che ha realizzato tale disegno di revisione (l. cost. n. 3/2001), che solo due anni prima era stata preceduta da un’altra legge costituzionale (la n. 1/1999), che pure aveva inciso sull’organizzazione dei livelli di governo locale, ha affermato il fondamentale principio secondo cui “alle Regioni spetta potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”, capovolgendo un vecchio principio secondo cui era lo Stato ad esercitare una potestà legislativa di carattere residuale, rispetto a tutte quelle materie non espressamente riservate alle Regioni - indicate per le Regioni a Statuto Ordinario nella vecchia formulazione dell’art. 117 Cost., per quelle a Statuto Speciale, dai rispettivi Statuti -.
Alla potestà legislativa statuale sono state riservate, in maniera esclusiva, le materie della politica estera e dei rapporti internazionali (compresi quelli con l’U.E.) dello Stato. In relazione a tutta un’altra serie di materie invece, pur essendo attribuita potestà legislativa alle Regioni, allo Stato è stata comunque riservato il compito di determinare i principi fondamentali relativi ad esse. Tra queste materie, due risultano di particolare interesse ai fini del presente studio: 1) i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, 2) il commercio con l’estero.
Il conferimento di queste due funzioni alle Regioni ha determinato l’assunzione da parte di tali enti di un ruolo strategico nell’ambito del processo di internazionalizzazione della realtà politica, economica e socio-culturale del territorio italiano. La prima funzione ha portato molte Regioni a dotarsi, nell’ambito della loro Presidenza, di un apparato diplomatico di livello regionale, gravitante attorno alla figura di un Consigliere diplomatico. Per rendere concreto l’esercizio di tali poteri, l’art. 117 Cost. ha riconosciuto alle Regioni la facoltà di concludere, nelle materie di loro competenza, accordi con Stati e intese con enti territoriali interni a Stati esteri, circoscrivendo tale facoltà ai soli casi e nell’ambito delle forme disciplinate da leggi dello Stato.
Per quanto riguarda la funzione del commercio con l’estero, le Regioni italiane hanno dato vita ad una serie di “accordi di programma” conclusi con il Ministero Attività Produttive, tramite i quali l’azione delle Regioni, essenzialmente di programmazione, di indirizzo e coordinamento, è stata raccordata con l’azione statale, al fine di rendere massima la loro sinergia. Sugli accordi di programma si sono poi innestate una serie di intese operative aperte alla partecipazione di altri enti istituzionali operanti con finalità di assistenza e promozione del sistema imprenditoriale nel processo di internazionalizzazione (ICE, Camere di commercio ed associazioni di categoria), attraverso le quali si è data attuazione delle iniziative programmate.
Un primo pericolo che l’attribuzione alle Regioni di potestà specifiche in materia di commercio estero poteva generare, era quello che tale potere potesse dare vita ad una eccessiva frammentazione degli interventi regionali, all’avvio di una serie di azioni isolate all’estero prive di qualsiasi “regia” ed al di fuori di qualsiasi disegno programmatico, con il rischio di dare una cattiva immagine all’estero del nostro Paese. Per questo motivo, nell’ambito della riforma del Titolo V della Cost., si è preferito lasciare allo Stato una funzione di coordinamento a livello nazionale delle singole azioni regionali.
Sempre nell’ottica del decentramento delle funzioni amministrative relative all’internazionalizzazione, ed a supporto delle nuove funzioni di commercio estero svolte direttamente dalla Regione, va collocata anche la costituzione degli Sportelli Regionali per l’Internazionalizzazione delle Imprese (SPRINT), strutture aventi il compito di “avvicinare” alle imprese gli strumenti pubblici di sostegno all’internazionalizzazione, offrendo in ambito regionale i servizi promozionali e reali dell’ICE, quelli finanziari della SIMEST e quelli assicurativi di SACE. I sistemi camerali regionali, integrati in queste strutture, hanno consentito la localizzazione presso le Camere di Commercio delle singole Province, di tanti “Sportelli provinciali per l’internazionalizzazione”, quali terminali operativi dello Sportello Regionale. In questo modo si è tentato di riproporre, su una scala territoriale più ridotta, un sistema a rete di assistenza alle imprese.
Gli Sportelli Regionali costituiscono oggi un “punto di raccordo” tra le aziende ed i soggetti pubblici preposti al sostegno dell’internazionalizzazione, ed una sorta di interlocutore unico a cui è possibile rivolgersi per avere informazioni ed assistenza sugli strumenti pubblici che possono agevolare l’inserimento nei mercati esteri, ma essi non sono ancora stati attivati presso tutte le Regioni italiane. Là dove sono stati costituiti, in alcuni casi hanno assunto il ruolo di veri e propri “osservatori” sulla struttura economico-produttiva regionale, affiancando alle funzioni di promozione ed assistenza alle imprese, una funzione di monitoraggio continua delle economie locali, in modo da offrire concreto supporto alle Regioni nell’ambito delle loro funzioni di programmazione delle strategie di internazionalizzazione.
Pur essendo la riforma del sistema del sostegno pubblico all’internazionalizzazione solamente agli inizi, il quadro tracciato dal legislatore appare chiaro: decentramento e deregulation sempre più spinti, ampio coinvolgimento di soggetti (pubblici e privati) nelle attività di sostegno all’internazionalizzazione ed ampliamento dell’autonomia degli enti locali (Regioni in primo luogo), sembrano essere i caratteri fondamentali della stessa. Ma a fronte di tutto ciò un’esigenza essenziale sembra emergere: l’integrazione ed il coordinamento delle azioni di questi soggetti, in una logica da “sistema Paese”.

 

 

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